La cinofilia e le sue correnti

Da quando mi occupo di cinofilia mi sono accorta che a intervalli regolari si alternano nuovi filoni o correnti di pensiero e nuovi modi di interpretare il cane e la sua relazione con l’uomo, spazzando via quello che si era detto precedentemente .
Ho visto la moda della pettorina sempre e comunque (purché respiri), portata come vessillo di una cinofilia nuova e buona, che avrebbe cambiato il mondo, contro i vecchi e cattivi.
Ho visto la corrente del cane gregario, da portarci dietro ovunque perché il suo ruolo, quello per il quale è nato, è quello di stare con noi sempre e di essere perfettamente a suo agio in ogni situazione e contesto. Andava a braccetto con la moda delle socializzazioni sfrenate, a partire dal parto, senza tregua, senza fine, senza riposo; socializzazioni fatte in campo con 1000 cani sconosciuti contemporaneamente e quelle fatte al mercato il sabato mattina; una socializzazione subita e mai vissuta attivamente e voluta.
Ho vissuto la diatriba del collare a strozzo VS farmaco come se le due cose avessero un qualche collegamento, come se avessero una funzione simile, come se i problemi si risolvessero con uno o con l’altro. Come dire: meglio un calcione oggi o una sedazione perenne? Ho sempre pensato che se il mio lavoro si fosse limitato a dover scegliere tra l’uno e l’altro sarebbe stato molto più semplice di quello che in realtà è.
Oggi viviamo la moda dei cani tra cani, liberi di potersi esprimere non curandosi delle gradazioni dell’espressione comportamentale, ma con l’idea dell’accettazione dell’altro sempre e comunque come se l’apporto del singolo all’interno di un gruppo, il suo gruppo, non fosse significante. Spesso questa corrente si accompagna all’idea che le patologie comportamentali non esistano e il problema è negli occhi di chi valuta e nelle etichette che vengono date.
Tutte queste correnti si sono spesso incrociate e scontrate e hanno anche lasciato vittime alle loro spalle, ma il campo nel quale è avvenuta la contesa è sempre stato confuso, ambiguo tra l’educazione di un individuo in crescita e l’ambito istruttivo e riabilitativo, come se fossero intercambiabili, come se fossero sinonimi, come se l’educazione di un cucciolo richiedesse le medesime strategie della riabilitazione di un cane affetto da problema comportamentale, insomma in fin dei conti sono sempre cani!!
Quello che l’approccio cognitivo mi ha insegnato è che non esistono ricette ma solo ingredienti, una moltitudine di ingredienti da dover conoscere profondamente. Non esistono esercizi ma attività in grado di dare nuove rappresentazioni. Quello che l’approccio zooantropologico mi ha insegnato è che la relazione, se non tutto, è la maggior parte. Che nessuno cambia da solo, ma grazie al contributo beneficiale del dialogo che si svolge all’interno della famiglia. Soprattutto quello che ho imparato è che la soggettività è sacra ma che si cambia nel dialogo e con il dialogo.
Il benessere è sempre fondamentale e deve essere ristabilito prima di apportare qualsiasi altro cambiamento. Anche il benessere e le sue aree vanno conosciute e suggerite a seconda del gruppo con il quale abbiamo a che fare. Se esiste la soggettività ognuno beneficerà del benessere in aree diverse rispetto ad un altro. Così come per gli uomini avremo chi avrà bisogno di ampliare i momenti di solitudine davanti ad un libro, altri aumenteranno i momenti di socialità conviviale, altri ancora faranno più ore di sport perché le aree di appagamento possono essere differenti; così per i cani ci sarà quello che avrà maggior bisogno di spazi verdi, un altro di attività strutturate ludico-performative, altri ancora potrebbero bisogno di dormire maggiormente o ricevere cibo di migliore qualità e così via. La domanda del momento è: questo basta? Alcune volte basta, altre volte è solo l’inizio.
Quello che spesso vedo è la perdita del buon senso nel voler seguire pedissequamente una corrente di pensiero, rinnegando tutto quello che si è detto in precedenza, cadendo sempre e comunque nell’errore di standardizzare, di trovare la ricetta che vada bene per tutti, come se la pettorina da sola, la socializzazione sfrenata, la libertà assoluta, la campagna, l’incontro con gli altri cani, gli psicofarmaci, lo sport, fossero da soli la soluzione. Io non credo esista un’unica soluzione ed è questo il bello e il brutto di questa professione, ma so che se questa esiste si trova dentro l’unicità di ognuno, unicità portata all’interno di un sistema dove 1+1–>3