Interdisciplinarietà in Cinofilia

Interdisciplinarietà: cos’è e perchè è importante

I termini sono importanti, danno significato a ciò che pensiamo e proviamo, ci permettono di comunicarlo agli altri nel modo più dettagliato possibile riducendo i giri di parole.
I termini ci rappresentano, ci identificano e permettono di farci riconoscere, sebbene in alcune occasioni sono utilizzati per dividere, ma questo è solo uno degli aspetti che riguarda la comunicazione in generale.
Un termine a cui teniamo molto, dal quale ci sentiamo rappresentati e del quale vorremmo essere rappresentanti è Interdisciplinarietà. Che cos’è?

L’interdisciplinarietà è un modello con cui ci si può approcciare per affrontare un medesimo argomento, facendo riferimento a tutte le discipline che lo trattano. Ognuna di esse porterà all’interno del dialogo comune il proprio punto di vista generando una visione di insieme che potremmo definire tridimensionale. Per poter applicare questo modello è indispensabile un lavoro di equipe, operativa o intellettuale che sia, in cui più professionisti si interfacciano stabilendo l’obiettivo comune.
È noto che rispetto al cane e in particolare rispetto all’ambito delle scienze comportamentali, ci siano delle zone grigie, dai margini sfumati, in cui una disciplina fluisce in un’altra. Questo aspetto è estremamente evidente tra la medicina veterinaria comportamentale e la cinofilia ma faremmo un torto a molti se non dicessimo che oltre a queste, intervengono anche l’etologia, la psicologia e la filosofia. Insomma, quando si guarda al comportamento del cane e si porta avanti un discorso di tipo interpretativo, molti professionisti appartenenti a tutte queste discipline hanno probabilmente diritto di sedersi ad una ipotetica tavola rotonda e fornire il proprio vertice osservativo.

Interdisciplinarietà nei problemi comportamentali del cane

Il modello interdisciplinare e quindi il lavoro in equipe, può essere sviluppato anche in ambito clinico, soprattutto quando ci si riferisce al mal funzionamento della mente del cane, ossia quando ci si interfaccia con quelli che normalmente sono riconosciuti col termine di problemi comportamentali. In questo ambito la medicina comportamentale veterinaria e l’istruzione cinofila a nostro giudizio dovrebbero dialogare e confrontarsi per il raggiungimento dell’obiettivo comune, ossia prendersi cura del disagio mentale del cane. Potrebbero essere non le uniche discipline coinvolte nell’affrontare un caso clinico, potranno essere coinvolti anche educatori cinofili, i dog-sitter, i preparatori atletici e così via, ma di certo saranno le due maggiormente coinvolte. È importante, se non indispensabile, che questa integrazione avvenga perché un cane, al pari di qualsiasi altro organismo, è un insieme di sotto insiemi funzionali e va considerato nella sua interezza per sperare di apportare un aiuto concreto e duraturo.

Il modo con cui l’equipe potrà decidere di lavorare sarà una scelta dell’equipe stessa. Riteniamo infatti che l’unione di diverse professionalità non sia necessariamente sinonimo di interdisciplinarietà. È per questo che facciamo una differenza tra interdisciplinarietà e la multidisciplinarietà.
Nella prima è chiaro il valore sinergico dell’incontro e confronto tra le diverse professioni nel cui obiettivo primo vi è l’integrazione del sapere e del saper fare di ognuno.
Nella multidisciplinarietà assumono minore significato l’incontro, il confronto e l’integrazione, per cui ogni singolo professionista offre la sua visione del caso, mette a disposizione le sue strategie, ma formalmente non esiste l’integrazione. È un po’ quello che si osserva quando un medico veterinario esperto in comportamento a seguito di una visita emette una diagnosi, prescrive un’eventuale terapia e poi invia il caso ad un istruttore cinofilo e dopo un certo intervallo di tempo farà una visita di controllo.

Nell’interdisciplinarietà medico e istruttore lavorano fianco a fianco nel confronto e nel rispetto della professionalità altrui e delle singole persone.
Per poter raggiungere un grado elevato di interdisciplinarietà, elevato sarà l’impegno dei singoli professionisti che dovranno innanzitutto sentire in sé il valore di questo modello e il piacere di poter lavorare con esso. Inevitabilmente l’aderire a questo modello richiede anche un percorso formativo che per numerosi aspetti sia comune, in modo che competenze, termini e visioni possano essere acquisite da entrambe le figure non per sostituirsi una all’altra creando una figura mista non ben definita, ma per agevolare il dialogo e programmare l’intervento. Studiare insieme, fare esperienze simili, farà in modo che i due professionisti, pur venendo da ambiti diversi, inizino a conoscersi e ad acquisire competenze rispetto alla collaborazione e non solo rispetto al cane.

Il ruolo dello psicologo all’interno dell’equioe di professionisti

È possibile, rispetto a sviluppare questo genere di competenze che nella formazione, una parte del lavoro venga svolta dalla figura di uno psicologo che aiuti i discenti a comprendere le modalità di lavoro in equipe, li aiuti a riconoscere i diversi conflitti che potrebbero insorgere nel lavoro quotidiano ed eventualmente come aiutarsi a sciogliere questi momenti di crisi del gruppo. La figura dello psicologo in questo ambito formativo riteniamo che sia estremamente utile così come riteniamo possa essere utile anche nella professione come supporto ai singoli professionisti o all’intero sistema curante in ambito di supervisione.

Non riteniamo al momento né utile, né produttivo, l’inserimento della figura professionale dello psicologo ad esempio nelle consulenze comportamentali o nelle sedute riabilitative. Infatti riconosciamo un possibile aiuto che potrebbe fornire nella comprensione delle dinamiche famigliari, ma pensiamo che le resistenze da parte della famiglia di sostenere incontri anche alla presenza di uno psicologo possano stimolare molte più criticità rispetto alle beneficialità intraviste.
Il modello interdisciplinare richiede professionisti preparati nel loro ambito professionale ma con competenze e sensibilità relazionali, capaci di rinunciare al proprio punto di vista, in favore di un vantaggio più ampio.