Fobia sociale nel cane

Sempre con maggiore frequenza ci imbattiamo nella nostra pratica clinica in cani affetti da fobia sociale. La difficoltà nel diagnosticarla precocemente, diminuendo le probabilità di risoluzione del problema, può avvenire perché il disturbo è influenzato dal contesto sociale e dall’ambiente di vita o perché lo si confonde con timidezza. La timidezza è infatti un tratto caratteriale che si attenua man mano che si familiarizza con la situazione che genera disagio, l’ansia sociale è un disturbo vero e proprio, che continua ad aumentare se la situazione che lo genera si prolunga nel tempo fino a delle possibili crisi di panico.
Dalla timidezza all’ansia sociale può esistere una naturale evoluzione se i sintomi presenti in un cucciolo venissero sottovalutati e mal supportati. Cani che fin da cuccioli manifestano la tendenza ad essere diffidenti, evitanti, timidi, rispetto all’estraneo vanno tenuti monitorati affinché questi tratti possano svanire spontaneamente o con un buon percorso educativo personalizzato e non diventino l’anticamera di un disturbo di fobia sociale. Sarà indispensabile che la famiglia venga supportata affinché non riponga aspettative troppo alte sul cane, non imposti la relazione sul controllo e sulle punizioni, e affinché gli educatori cinofili non basino l’eventuale percorso sulla competizione e sulle punizioni.
Quando la tendenza di evitamento delle relazioni, l’incapacità di sostenere un dialogo, sono tali da impedire un’adeguata vita sociale, quando poi il quadro si aggrava con manifestazioni aggressive di minaccia o morso allora è giusto intervenire supportando adeguatamente cane e famiglia con tutti i mezzi di cui necessitano.
I cani affetti da questa patologia multiforme, faticano ad entrare in relazione con l’altro, difficilmente sostengono lo sguardo di un interlocutore, alcune volte non sopportano neppure di essere guardati entrando in forte difficoltà. Da studi di neuroimaging, si è visto che in individui affetti da questo disturbo, le aree cerebrali maggiormente attivate, alla visione di volti, sono quelle collegate ai circuiti della paura (amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale), ma anche le aree visive, dimostrando che la vista e la paura sono collegate anche da un punto di vista neurologico.
Alla base del disturbo c’è sempre una profonda insicurezza, e
l’ incapacità di sentirsi all’altezza della situazione.
L’origine del disturbo può essere per una probabilità del 30%-50% genetico, vi è di sicuro una certa predisposizione familiare e il legame d’attaccamento tra cane e proprietari può essere un fattore di vulnerabilità o di resilienza.
A livello neurobiologico si evidenzia una disfunzionalità di alcune aree cerebrali, quali una maggiore attività dell’amigdala, una ridotta attività della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, determinando un coinvolgimento dei processi neurobiologici a loro collegati nella genesi della paura, nell’elaborazione degli stimoli emotivi, nella percezione dell’ambiente esterno.

TRATTAMENTO
Approcciamo efficacemente questo tipo di patologia grazie alla riabilitazione Cognitiva-Relazionale e all’eventuale utilizzo di una terapia biologica in sostegno del paziente e quindi della riabilitazione.
La riabilitazione prevede una ristrutturazione cognitiva rispetto alle rappresentazioni disfunzionali e un’esposizione a esperienze sistemiche e graduali rispetto alle situazioni sociali, con l’obiettivo di agire sulle previsioni negative e modificare l’aspettativa.
Sotto situazioni di forte stress le capacità di riflessione vengono meno, riportando il cervello a schemi di ragionamento ben strutturati e molte volte ripetuti, attivando una forma di protezione. Per questo le esperienze sistemiche e graduali riabilitative dovranno essere ben calibrate da parte dell’Istruttore Riabilitatore.
Spesso chi soffre d’ansia sociale è portato a vivere le relazioni in modo competitivo tra chi vince e chi perde. Questo può portare il cane a mettere in atto comportamenti di resa per “imbuonirsi” l’interlocutore. In riabilitazione cerchiamo di attivare altri sistemi motivazionali come la cooperazione, l’epimelesi e i sistemi d’attaccamento.

Dott.ssa Federica Manunta