La Referenza Relazionale

Riportiamo un nostro articolo apparso su Professione Veterinaria nr 05/2019, rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI).

MODELLO INTERDISCIPLINARE E MEDICINA VETERINARIA: “La Referenza Relazionale”

Colangeli Raimondo* Manunta Federica** Martucci Maurizio ***
*Medico Veterinario MCV vice-pres. ANMVI, ** Medico Veterinario MCV pres. LAICI, *** Analista Transazionale didatta, supervisore, Psicologo LAICI

PREMESSA

La seconda metà del secolo scorso è stata caratterizzata da diversi e significativi movimenti trasformativi che hanno determinato quella che possiamo definire, senza tema di essere smentiti una vera “rivoluzione culturale”. Scopo di questo lavoro è di volgere lo sguardo su ciò che si è trasformato in questi anni nel panorama della salute. In particolare intendiamo focalizzarci su alcuni aspetti del concetto di salute intesa nel senso più ampio riguardante sia l’animale uomo sia gli animali di specie diversa (con particolare focus sul cane) e i sistemi in cui vivono.

Nel 1948 OMS ha formulato un principio che è tutt’ora attuale e che sta alla base della valutazione ufficiale del termine salute. Principio a cui ancor oggi si fa riferimento. La salute è: “… uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non soltanto di assenza di malattia …” Nella seconda metà del secolo scorso, con il progredire delle conoscenze epidemiologiche, si è passati da un concetto di salute basata sull’assenza di malattia all’aspirazione ad un benessere fisico, mentale e sociale. Porgiamo la nostra attenzione alla presenza, nelle due versioni dei concetti di salute, dei termini Psichico e Sociale.

Cosa intendiamo per sociale? E per benessere Psichico?

Intendiamo certamente la realtà macro-sociale in cui viviamo, comprensiva dell’ambiente fisico ed affettivo- emotivo che lo costituisce. Sociale è anche quella struttura che possiamo definire micro-sociale rappresentata sia dalle realtà locali ma, e soprattutto, dalla “famiglia”.

Dalla fine degli anni ’60 in poi la famiglia ha subito significative trasformazioni sia culturali che strutturali. Ciò che ci preme ed interessa in questo nostro lavoro é cogliere quello che riteniamo il più significativo di questi mutamenti: “la famiglia intesa come sistema”.

Dobbiamo questa definizione a Von Bertalanfy che nel 1968, a partire dalla teoria dei sistemi definisce la famiglia “…un insieme di unità in reciproca interazione, che funziona come una totalità che scaturisce dai rapporti di interdipendenza tra i gli elementi che lo costituiscono” (Bertalanfy, 1969).

All’interno del sistema famiglia si sviluppano tutte quelle reciproche interazioni che contribuiscono alla salute psichica di tutti i suoi componenti. Per salute psichica intendiamo, da una parte, la capacità dell’individuo di cogliere le risorse, gli stimoli e gli strumenti necessari alla sua strutturazione di personalità che il sistema in cui vive gli propone. Dall’altra parte la capacità del sistema di prendersi cura e di offrire tutte quelle risorse, stimoli e strumenti di fondamentale importanza per la strutturazione della personalità di ogni componente del sistema stesso e, in particolare, per i “cuccioli” che si affacciano al sistema.

DAL CURARE AL PRENDERSI CURA

A partire dalle definizioni dell’OMS, che abbiamo citato. emerge un significativo mutamento del principio di cura. Se la prima definizione ci portava ad agire sul sintomo per eliminare la malattia e quindi, aderire all’obiettivo di salute come assenza di malattia. Il principio più avanzato conduce il nostro pensiero ad invertire i termini della questione. Curare il sintomo o la sindrome non è sufficiente al benessere dell’individuo, si rende necessario Prendersi Cura del singolo e del sistema in cui vive. Quando i bisogni fondamentali del bambino (o del cucciolo) vengono soddisfatti, egli si ritrova a vivere una condizione di salute. In particolare, questo accade quando riceve amore incondizionato da parte dei genitori, indipendentemente dagli eventi avversi che possono caratterizzare la vita del sistema o dal comportamento del bambino; quando i suoi pensieri e i suoi sentimenti vengono considerati e apprezzati, quando è soddisfatto il bisogno di stabilità affettiva ed infine quando vengono riconosciuti e rispettati i ruoli generazionali interni al sistema egli ne trarrà struttura per sé ed adeguatezza rispetto all’ambiente sistemico. Nel momento in cui questi bisogni primari vengono trascurati e ignorati, è possibile che il bambino
(cucciolo) possa provare insicurezza, tensioni e angoscia, le quali rappresentano una seria minaccia allo sviluppo sano dello stesso.

Questa condizione è tipica del bambino che cresce dentro un sistema disarmonico, la quale determinerà un’evoluzione disfunzionale del piccolo (cucciolo). Egli, alla lunga, mostrerà per mezzo del corpo, del comportamento o dello stato emotivo, tutta la sua sofferenza e tutto il disagio psicologico. Volutamente abbiamo affiancato, tra parentesi, alla voce bambino la voce cucciolo, volendo riferirci esplicitamente ad una situazione specifica. L’ingresso di un componente di specie diversa (cucciolo di cane) a far parte del Sistema, senza voler sovrapporre i due significati o attribuire valori comparabili.

Accogliere un soggetto di specie diversa in un sistema “mono-specifico” stimola dinamiche sicuramente nuove rispetto ad un prima in cui il soggetto era assente. Ogni cambiamento (processo tras-formativo) di un membro del sistema comporta modificazioni ( tras-formazioni) negli altri e nel sistema stesso. Ogni componente famigliare influenza ed è a sua volta contemporaneamente influenzato dagli altri.

Nello stesso periodo storico l’approccio agli animali di specie diversa ha subito un altrettanto movimento “rivoluzionario”. Possiamo serenamente affermare che il rapporto fra animale-uomo ed animali di specie diversa, in particolare il cane, si è trasformato da “utilitaristico” (il cane come lavoratore) a soggetto con cui essere in relazione. Questa trasformazione, frutto di un importante movimento di pensiero, sembrerebbe essere stata provocata da più aspetti. Innegabilmente la condizione di maggior benessere economico sviluppatasi dall’immediato dopo guerra in avanti ha favorito il processo. Pensiamo che la spinta maggiore sia stata operata dai diversi movimenti sorti in questi anni (Animalisti, Enti di protezione, Associazioni di volontariato, solo per citarne alcuni). Movimenti di cui si può condividere o non condividere il pensiero e/o il loro agire ma è indiscutibile che hanno offerto un nuovo modo di guardare al cane come soggetto avente diritti in quanto senziente. Attribuire al cane la capacità di essere senziente impone di identificarlo come entità dialogica quindi in grado di relazionarsi con gli altri.
Il ruolo e la funzione del mondo Veterinario non è stato da meno. Basti pensare a quanti mutamenti vi sono stati all’interno della stessa Accademia Veterinaria.

La Medicina Veterinaria ha vissuto un significativo sviluppo che, potremmo dire al pari della medicina umana, ha implementato l’arte medico-veterinaria sia nel campo clinico che in quello diagnostico. In modo particolare l’atteggiamento proiettato all’attività di ricerca prima, e di cura poi, ha promosso una nuova cultura della medicina veterinaria.

L’attivazione di Scuole di specializzazione e di Master finalizzati a formare Medici Veterinari esperti in comportamento. La nascita di Società Scientifiche focalizzate sul comportamento animale d’altra specie. Tutto questo ha contribuito a formare una nuova generazione di Medici Veterinari che spostano il loro vertice osservativo dall’oggetto clinico al soggetto portatore di manifestazioni emotivo/affettive che si possono fenomenologicamente osservare attraverso il comportamento. Ciò ci permette di osservare il cambiamento del paradigma scientifico che si sposta dalla cura del sintomo a prendersi cura del tutto.

In questi ultimi trent’ anni sono venuti alla luce, sullo stimolo delle scuole di pensiero, molti Centri e Associazioni che propongono formazione a diversi livelli e per diverse figure (Educatore Cinofilo, Istruttore Riabilitatore etc ).

Tra le scuole di pensiero la Zooantropologia è una disciplina e un approccio filosofico ideati da il prof. Roberto Marchesini. Sicuramente Pioniere di un modo nuovo di pensare il rapporto fra uomo e animali e da egli stesso sviluppati attraverso pubblicazioni e attività di formazione rivolte sia a ”laici” sia a Veterinari.
Ha il merito di aver avviato un nuovo modo di avvicinarsi al mondo cinofilo e di aver inserito il primato della relazione nel rapporto con il cane. Esprime il principio della “Referenza Animale”. L’obiettivo di questo modello è sintetizzabile nella citazione che segue: “. . . favorire l’incontro e l’affiliazione relazionale attraverso un potenziamento delle tendenze-capacità sociali e relazionali dei due partners. . .” Questo approccio supera il vecchio paradigma secondo cui al cane è necessario impartire istruzioni perché non agisca in modo istintivo negandogli la possibilità di essere entità dialogica in grado di “scambiare” contenuti con l’altro. E’ la relazione che costruisce il rapporto fra uomo e cane ed è una relazione reale di scambio di sentimenti ed affetti all’interno della quale gli attori si scambiano “le norme” dello stare insieme, del con- vivere.

DALLA REFERENZA ANIMALE ALLA REFERENZA RELAZIONALE

L’interdisciplinarietà nasce dal bisogno di approcciarsi ad una medesima situazione offrendo vertici osservativi e sfruttando le diverse competenze proprie di ciascuna professionalità. Questa metodica comporta necessariamente, pur nell’integrazione di ciascuno, il rispetto dei confini specifici. Solo così è possibile sinergicamente beneficiare dei risultati che il lavoro di equipe può realizzare.

Presupposto teorico del nostro pensiero e del nostro operare è che ogni relazione nasce da un incontro. Ogni incontro è unico e irripetibile dall’incontro con l’Altro si avvia il percorso-processo di conoscenza (cognitivo). Conoscere l’altro parte dall’osservare il suo comportamento, conoscere la neurofisiologia alla base dei comportamenti e coglierne i segnali, attribuirne un significato. Riconoscere alla mente del cane un suo funzionamento nel percepire il mondo, rielaborare i dati acquisiti, immagazzinarli, dargli una propria interpretazione e adeguare il comportamento ci obbliga a osservare il cane come un individuo complesso dotato di soggettività, in grado di strutturare dialoghi con diversi partner sociali. Questo approccio riconosce all’apprendimento e alla memoria un capitolo ampio e molto importante. Il comportamento viene interpretato come un processo attivo da parte del soggetto, fortemente dipendente dalle emozioni vissute, legato all’esperienza e alle relazioni che intreccia. Mente, cervello e psiche risultano più facce di una stessa medaglia, o meglio di un unico organo in continua mutazione, il connettoma. Il cervello è una fitta rete di interconnessioni al pari di una foresta di alberi, i cui rami intrecciandosi entrano in contatto parlandosi attraverso segnali elettrici e molecole di neurotrasmettitori. Questo sistema fitto e complicatissimo si trasforma in continuazione nello stesso individuo e si tramanda tra le generazioni. Il come i neuroni si parlano, le sostanze che si scambiano, permettono ad ogni individuo di percepire il mondo, interpretarlo, e di agire, praticamente di essere esattamente ciò che è. A seconda dei neurotrasmettitori coinvolti nel dialogo tra i neuroni, un individuo proverà gioia, paura, piacere, appagamento. Possiamo riconoscere veri e propri circuiti neurotrasmetitoriali che controllano ogni forma di comportamento. I circuiti della serotonina, sono gli stessi attraverso i quali si regolano i legami affettivi e parentali, provando la gioia dallo stare con gli altri. Il circuito dopaminergico regola il sistema della ricompensa e della ricerca di piacere ma allo stesso tempo è alla base delle dipendenze offrendo piaceri molto intensi ma altrettanto fugaci che generano insoddisfazione. Le esperienze innescano la produzione di ormoni e gli ormoni innescano le emozioni e di seguito i sentimenti come sorgenti antiche e profonde localizzate nei neuroni e questo ci pone davanti ad un nuovo modo di guardare agli animali non umani e al loro agire.Conoscere il fluire di questi scambi, ci permette di conoscere le radici profonde del comportamento e darne una nuova interpretazione e conoscerne le Alterazioni patologiche nella funzionalità dei circuiti ci permette di porci in un nuovo modo rispetto ai disturbi del comportamento.

Il percorso-processo di conoscenza (cognitivo) che permette di conoscere l’altro attraverso la relazione e pone le condizioni per “stare dentro”, dà senso alla relazione vera e propria. Il metodo che ne deduciamo si esplica con quella che definiamo la “regola delle 3 A”, iniziali delle parole Accoglienza, Ascolto, Accompagnamento. Accogliere non è semplicemente una parola che invita al ricevimento dell’Altro. Senza volersi addentrare nell’intrinseco significato etimologico della parola, possiamo limitarci ad utilizzare alcuni aspetti del suo etimo. Co- insieme, lègere e raccogliere”. Accogliere vuol dire mettersi in gioco, avviare il gioco della relazione. Accogliere un “Altro” comporta un alto livello dicon-involgimento e di disponibilità alla con-divisione. L’accoglienza è un’apertura: ciò che viene accolto o ricevuto viene fatto entrare in una casa, in un gruppo, in sé stessi. Chi accoglie rende partecipe l’Altro di qualcosa che gli appartiene, si offre, si rende disponibile verso l’Altro per “conoscere ed essere conosciuto”. Accogliere significa astenersi dal porre giudizi a priori (pre-giudizio) e dal giudizio. Ti accolgo come sei, per quel che sei. Ti accolgo perché sei Tu nella Tua unicità. Partiamo dal presupposto, per noi irrinunciabile, che l’Altro non può essere così come noi lo vogliamo. E’ questa una virata fondamentale soprattutto per quanto concerne l’incontro e la relazione con animali di altra specie. E’ tanto nota quanto frequente la tendenza, già nelle relazioni umane a voler che l’Atro sia come noi lo vogliamo, in ambito interspecifico questa tendenza è portata all’esasperazione arrivando fino ad addestrare il soggetto affinché corrisponda al nostro “ideale di cane”. La seconda “A” introduce il principio dell’ASCOLTO, il cui etimo ci rimanda all’“auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Un sentire che, se così inteso, è limitante. Intendiamo per capacità di ascolto l’Ascolto Empatico, vale a dire, la capacità di mettersi in contatto con l’Altro condividendo le sensazioni,e le emozioni che manifesta. L’essere in sintonia o nella stessa lunghezza d’onda.

Diversamente da quanto suggerirebbe l’etimo della parola si ascolta con:

  • Lo sguardo
  • La mimica
  • La gestualità e la postura
  • Con il Cuore

ASCOLTARE è rispettare l’Altro in tutti i suoi bisogni etologici e soggettivi; nel caso di un cane l’ascolto è agito attraverso la conoscenza della specie, delle caratteristiche individuali rinunciando alla banalizzazione e alla pregiudizialità. Il percorso-processo cognitivo relazionale ha il suo inizio ponendosi a fianco. Intendiamo con questo una relazione che pur riconoscendo l’asimmetricità intrinseca si sviluppa sul piano simmetrico della reciprocità. La terza A introduce il principio dell’accompagnamento. Accompagnare ha il suo senso nel porsi a disposizione dell’altro senza trainarlo verso i nostri obiettivi, o spingerlo verso mete per lui eccessive. Così espresso il percorso condurrà ciascuno dei soggetti verso le reciproche mete. Sosteniamo ciò a partire dall’assunto che ci si conosce sempre in due. Dalla lingua greca apprendiamo che il termine diagnosi ci propone due aspetti importanti: la parola “dia-“ ci rimanda sia al significato “tra” sia al secondo numero della numerologia greca. La parola “-gnosi” ci riporta a “conoscenza”, permettendoci così di sostanziare quanto sopradetto, ci si conosce tra-due.

È nell’etimologia della parola relazione (refere-riferire) che ritroviamo il contenuto profondo che nel nostro approcciare l’Altro coniuga il processo-percorso congnitivo con l’agire relazionale. Ci conosciamo riferendoci ad un altro diverso da noi, accogliendolo, ascoltandolo, accompagnandolo in una relazione unica e irripetibile, è all’interno di questo percorso relazionale che si realizza l’atto magico del vivere il legame nel rispetto dell’individualità a maggior ragione se ci riferiamo a una relazione tra eterospecifici.
l’accompagnamento affettivo permettono all’individuo di riconoscersi come entità esistente, la sua capacità di “ri-abilitarsi” (resilienza) diventa disponibile e agibile. Un percorso siffatto facilita ed attiva il potenziale resiliente del soggetto reduce da esperienze insoddisfacenti o, significativamente, traumatiche. Parlare in termini di resilienza vuol dire modificare lo sguardo con cui si leggono fenomeni e sistemi. L’accompagnamento offerto al sistema famiglia che vive un’esperienza di “crisi qualunque” mette il sistema in condizioni di reagire al trauma (l’etimo della parola resilienza deriva dalla fisica dei materiali e significa “capacità di reazione all’urto”). Accogliere, ascoltare ed accompagnare facilita la storicizzazione dell’esperienza traumatica nel qui ed ora e ne avvia il processo trasformativo che potrà permetterne il superamento.

“Appare chiaro quanto il concetto di resilienza e quello di coping siano fortemente intrecciati” (Wadsworth et al, 2009; Mikolajczak M, 2008). Ma è bene ricordare che la resilienza non é solo sopravvivere; ma è soprattutto la innata capacitá di leggere l’esperienza come impronta indelebile impressa in qualche sito neurale a cui at- tingere al ripresentarsi dell’elemento stressogeno e, il costrutto di coping, ne rimarca le strategie utilizzate per l’affrontamento.

In termini comportamentali, infatti, il coping è la scelta e l’attuazione, in base alla propria intelligenza emotiva, di strategie di coping tra una miriade di scelte modali offerte dall’ambiente. Il coping, analizzato da questo punto di vista, può essere appreso. Ma la resilienza? Alcune recenti ricerche su modelli animali rendono conto di quanto i due costrutti siano intrecciati e di quanto l’uno sfumi nell’altro in una soluzione di continuità.

La resilienza, secondo Boris Cyrulnik, il suo teorico maggiore e che ha avuto il merito di svilupparne il concetto in psicologia, è la “renaître de sa souffrance”, essa corrisponderebbe alla capacità umana di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne rinforzato o, addirittura, trasformato (Goleman D. 1995)…. “Il soste- gno della propria rete sociale, prima e durante le avversità, era il fattore che sembrava fare la differenza maggiore: essa infatti aumentava la resilienza fino al 60% rispetto a chi invece non aveva supporti sociali.

Un altro studio (Waugh et al, 2008) partendo dal presupposto che, un aspetto importante della resilienza è il saper usare le proprie emozioni in modo flessibile anche in situazioni avverse e che, tale flessibilità, dovrebbe permettere all’individuo di utilizzare adeguatamente le risorse emotive durante eventi stressogeni e farne parsimonia durante eventi innocui; Questi dati fornirebbero la prova neurale che, in situazioni di minaccia, gli individui flessibili e resilienti sono in grado di regolare adeguatamente il livello di risorse emotive necessarie rispetto alla situazione, mentre gli altri difettano di tale capacità.” (Nunzia Spezio, fonte rete)

CONCLUSIONI

La scelta del modello interdisciplinare ci consente di combinare sinergicamente diversi modelli di approccio e diverse competenze. Nell’incontro che da tale modello si realizza conosciamo l’altro e entriamo in relazione con il suo mondo e con il suo stare nel mondo. E’ abitando il mondo dell’altro che incontriamo la sua essenza, riconoscendone l’unicità, ogni entità dialogica è vista e rispettata nel suo spazio espressivo.

Nessun individuo ha in sé il potere di cambiare (attivare processi trasformativi) nell’altro. Ciascun soggetto ha interesse ad essere riconosciuto e gratificato dall’interesse dell’altro per se. Il bisogno di percepirci appartenenti a qualcuno, ad una comunità ci accompagna fin dalla nascita, motivo per cui abbiamo la necessità di viverci in relazione con chi vive intorno a noi. Ed è proprio questo bisogno di percepirci all’interno di una relazione che fa di quest’ultima il luogo elettivo in cui i processi di cambiamento (trasformativi) si possono realizzare e si realizzano. Non cambio perchè tu lo vuoi o me lo imponi, cambio a partire da come tu ti poni con me. Se l’interesse (bisogno) è quello di mantenere la relazione con l’altro il processo trasformativo si attiverà per soddisfare il bisogno. In sostanza è la cura della relazione con l’altro che permette l’attivazione di apprendimenti e cambiamenti nei diversi soggetti.

A partire da questo impianto teorico metodologico che affermiamo il paradigma della “REFERENZA- RELAZIONALE”.

Intendiamo per referenza-relazionale quel forno alchemico all’interno del quale è possibile porre tutti gli elementi che costituiscono una relazione costruttiva, rispettosa delle soggettività e delle specificità e portatrice essa stessa di referenza. Il prodotto di cui potremo godere è un percorso di reciproca conoscenza specifica e interspecifica.

Sosteniamo il principio della referenza relazionale a partire dagli studi neuroscientifici che ci mostrano come l’attività del nostro Sistema Nervoso Centrale sia caratterizzata da una continua catena di relazioni e di incontri. Si pensi all’incontro fra quel particolare recettore che si incontra solo con quel particolare neurotrasmettitore dando vita a quello scambio (relazione) che ne permetterà l’attivazione della funzione a cui è destinato. Così come nel Sistema Nervoso Centrale, una sinapsi può realizzarsi casualmente, così le relazioni sociali possono essere frutto di un incontro casuale. Ciò che ne determinerà il consolidamento della relazione vera e propria sarà la “scoperta” della compatibilità sintonica.

L’animale Uomo, così come altre specie animali, è animale sociale, ovvero non può esimersi dall’intessere relazioni. Non può farlo in quanto le relazioni sono già insite nel suo essere ente neurobiologico. Il nostro cervello esplica le sue funzioni attraverso un continuo scambio relazionale fra un neurone e l’altro. Referenza Relazionale in quanto esistiamo e funzioniamo in quanto prodotto di un continuum di processi relazionali. Parafrasando l’attività del Sistema Nervoso Centrale, quando i nostri recettori sociali incontrano un animale uomo (e perché no, d’altra specie), ripetiamo un processo che è già insito in noi.

E noi lo chiameremo Amore.